Il percorso è stato lungo e tortuoso e affonda le sue radici – sebbene con i dovuti distinguo – già nel 1700: parliamo del processo che ha portato al suffragio universale in Svezia e, in particolare, al diritto di voto (attivo e passivo) delle donne.

Ancora agli inizi del 1900, il diritto di voto era strettamente correlato allo status sociale ed economico dei cittadini: per poter partecipare alle elezioni nazionali occorreva aver dichiarato un certo reddito o avere delle proprietà di un determinato valore, aver pagato le tasse in modo regolare nei dieci anni precedenti, aver compiuto 21 anni ed essere uomo. Leggermente diverso il discorso che riguardava le elezioni amministrative: il criterio economico era sempre valido, ma – a partire dal 1862 – anche le donne furono ammesse alle consultazioni a patto che fossero maggiorenni, non sposate o vedove (in caso contrario erano subordinate alla giurisdizione del marito). Ovviamente l’elettorato passivo era composto solo ed esclusivamente da uomini.
La scintilla cominciò a scoccare a partire dalla seconda metà del 1800. A seguito di un’importante riforma parlamentare e alla nascita dei partiti politici in chiave moderna, la questione del suffragio universale iniziò ad essere dibattuta sempre meno timidamente. Nasceva così, negli anni a cavallo tra i due secoli, Rösträttsrörelsen, il movimento per il diritto di voto. Un movimento composto da numerosi attori, di matrice prevalentemente liberale e – in scala minore – socialdemocratica, tra cui Landsföreningen för kvinnans politiska rösträtt, l’Unione nazionale per il diritto di voto della donna.
Raccolte firme, scioperi generali, manifestazioni e dibattiti sempre più frequenti risultarono in una politicizzazione ancora più marcata della questione. Ma le varie proposte parlamentari sul tema, che si susseguirono con una certa regolarità già a partire dal 1896, si scontrarono più e più volte con lo zoccolo più conservatore del Parlamento svedese, la “prima camera”, una sorta di Senato delle regioni eletto indirettamente. Nel mentre, a partire dal 1911, tutti gli uomini passati per la naja ottennero pieno diritto di voto: questa volta senza criteri legati allo status economico. Per le donne, pensarono in molti, i tempi non erano ancora maturi.
La svolta arrivò, strano a dirsi, con la Rivoluzione russa. O meglio dire con la paura che una rivoluzione potesse scoppiare anche in Svezia. Nel 1918, quasi un po’ a sorpresa, si giunse ad un accordo parlamentare su una imminente riforma del diritto elettorale. L’anno successivo venne esteso il diritto di voto – attivo e passivo – a tutte le donne in chiave locale, a prescindere dallo stato civile o dal reddito. Nel 1920 liberali e socialdemocratici ottennero la maggioranza anche nella “prima camera” e già nel gennaio 1921 il Parlamento si pronunciò in favore del suffragio universale femminile. La strada era ormai in discesa: nel settembre 1921 tutte le donne poterono finalmente partecipare alle prime elezioni nazionali. E non solo come elettrici. Furono infatti cinque le signore a poter varcare le porte del Parlamento da elette: Kerstin Hesselgren, Elisabeth Tamm, Bertha Wellin, Agda Östlund e Nelly Thüring.



Si metteva, quel giorno, una pietra miliare fondamentale della democrazia svedese, benché rimanesse ancora tanto lavoro da fare. Il diritto di voto veramente universale, in Svezia, si ottenne soltanto nel 1989. Ma questa è un’altra storia.
Negli ultimi anni, ed in particolare in questo 2021, sono state tante le iniziative promosse dal Parlamento e Governo svedesi per ricordare il percorso coraggioso e non privo di ostacoli compiuto dai movimenti per il diritto di voto, da quelli femministi e da altri attori e per rafforzare e valorizzare il concetto di democrazia in Svezia. Un concetto che, a cent’anni esatti da quelle fatidiche elezioni, viene molto spesso e sempre di più messo in discussione. Ma anche questa è un’altra storia…